Binario Morto
Collettiva di Semplicemente Fotografare a cura di Giorgio Rossi
Fotografie di
Anna Calabrese-Donatella Bajo-Maristella Belvedere-Roberto Ceccarelli-Roberto Dal Bo-Edmondo Di Loreto-Domenico Ferreri-Maria Grande-Antonia Rana-Anna Signorini-Luca Tizzi
Alla proclamazione del Regno d’Italia 17 marzo 1861 erano già in funzione circa 2560km di strade ferrate, con stazioni ed annessi, Nel 1905 in seguito alla statalizzazione numerose linee vennero inglobate nelle Ferrovie dello Stato.
Le stazioni di città importanti erano caratterizzate da un’architettura che in quegli anni traeva ispirazione nel decoro dal liberty. Le stazioni dei centri minori, assai semplici, seguivano lo stile Umbertino che rimase predominante da metà ‘800 fino alle sperimentazioni in cemento armato che portarono agli esercizi stilistici del Razionalismo e del Moderno. Il complesso della stazione nei piccoli centri prevedeva un corpo centrale, di solito a due piani. Al piano superiore nessuno aveva accesso salvo gli addetti, quindi non si sa cosa ci fosse. Al piano inferiore c’erano l’ingresso, la sala d’attesa che nelle stazioni maggiori era divisa in 1a e 2a classe, la biglietteria. Rigorosamente fuori c’era un piccolo corpo architettonico la cui funzione era evidenziata dalla scritta “ritirate”, e successivamente “gabinetti”. Un ulteriore edificio, per lo più semplicissimo ad ampio tetto spiovente, serviva da rimessa. C’era una torre dell’acqua, un serbatoio di accumulo e riserva di acqua, indispensabile per il funzionamento delle locomotive a vapore. Nelle tratte elettrificate era assente. Attorno a tutto ciò, lato binari, c’era un giardinetto ben curato, con una piccola fontana decorativa , di solito tonda, una fontanella per abbeverarsi, aiuole per fiori e ghiaino nei percorsi.
Era un piccolo mondo in perenne agitazione, punto di partenza e arrivo per altri infiniti mondi. Ogni stazione aveva un capostazione, in piccole e medie stazioni si occupava della vendita di biglietti e abbonamenti e aveva la possibilità di inviare e ricevere telegrammi, insomma era una persona puntualmente indaffaratissima. La figura del capostazione era sinonimo di autorità in ambito ferroviario, l’uniforme comprendeva berretto rosso, la paletta rosso/verde di comando un immancabile orologio Perseo a cipolla appeso alla catenella del gilet. Nei piccoli centri era una figura importante, al pari del parroco, del notaio, del barbiere, del medico e del postino. Tutto rimase più o meno così sino agli anni ‘60, poi iniziò una inversione di tendenza. Pullman e corriere gradualmente sostituirono per percorsi brevi e medi le tratte ferroviarie.
Le ferrovie non erano solo un servizio sociale, erano una impresa i cui costi dovevano essere ricompensati da entrate. Erano un albero dalle mille ramificazione, se un ramo non portava frutti doveva venire tagliato. Così gradualmente molte stazioni vennero chiuse e di quei rami rimase solo il tronco principale. Il tempo è ciclico, forse sarebbe il caso, se possibile, di ripristinare alcune di quelle tratte, l’uso dell’auto privata in futuro sarà sempre più disincentivato, l’ambiente ringrazierà. I fotografi aderenti al nostro gruppo FB vivono serenamente sparsi su tutto il territorio nazionale, hanno avuto il compito per questa collettiva di andare a documentare quello che resta di alcune tratte ferroviarie.